Ci vuole tatto per degustare lo Champagne. Nel senso che è necessario un certo savoir-faire per avvicinarlo, conoscerlo e indagarlo. Ma anche nel senso strettamente tattile della questione. Certo. Perché dello Champagne non solo si possono percepire le sfumature aromatiche attraverso l’olfatto, le note gustative grazie al palato, e il colore, la brillantezza e l’esuberanza del perlage attraverso la vista. Le bollicine francesi possono svelare molto di sé se toccate con mano. Oltre che con la bocca, naturalmente. Così come possono essere ascoltate. Perché lo Champagne sussurra, bisbiglia e crepita, dopo aver emesso un esplosivo suono pop nel momento in cui viene stappata la bottiglia.
Della polisensorialità del nettare d’Oltralpe sa bene il Bureau du Champagne Italia. Traduzione: l’ambasciata nazionale del Comité Champagne francese, che ha sede ad Epernay e che si occupa di gestire e difendere i comuni interessi di vignerons et maisons. Un’organizzazione interprofessionale che ha la precisa mission di valorizzare l’identità e il patrimonio della denominazione. Anche comunicandone peculiarità e personalità in maniera inedita e originale. Come ha iniziato a fare il Bureau, organizzando laboratori capaci di far focus proprio sui sensi. In modo tale da imparare a osservare, descrivere e raccontare lo Champagne seguendo un’intonazione fuori dal coro.
Così, dopo un lab a tutto naso (nel 2016) e uno a tutto udito (nel 2017) – complici un pianoforte e i brani di Erick Satie, Franz Schubert, Maurice Ravel e François Couperin – quest’anno è stata la volta del tatto. Dove? Alla Ferrari Fashion School di Milano. Perché se vero è che il palato tocca lo Champagne – a una temperatura consigliata di 8-10°C – e le mani toccano il fine calice a tulipano – la mente può toccare idealmente le bollicine francesi. Associandole all’universo delle stoffe. “Anche perché lo Champagne ha sempre fatto parte del mondo della moda. E come nella moda si parte da un tessuto per spiegare un vestito, per parlare di Champagne spesso si comincia proprio dalla materia prima, ossia dall’uva”, precisa la direttrice della scuola Silvia Ferrari.
Tante infatti le similitudini fra i due universi: “ Se nell Champagne è fondamentale l’assemblage di vini di diversi cru, e persino di diverse annate, pure in un abito è importante l’accostamento di stoffe. Anche differenti”, spiega Chiara Giovoni, Ambasciatrice Italiana dello Champagne 2012 e alla regia del laboratorio insieme a madame Ferrari, Thibaut Le Mailloux (direttore della comunicazione del Comité Champagne) e al direttore del Bureau italiano Domenico Avolio. “Non dimenticando che nell’assemblage anche una minima variazione cambia il risultato finale e totale”, precisa miss Giovoni. “È l’arte del savoir-faire. È la capacità di creare un dna non replicabile altrove. Dando voce allo stile unico della maison”. Esattamente come accade nella moda. Dove specifici tessuti, puntuali tagli e precise cuciture danno forma a un inimitabile ensemble.
E poi c’è lui, lo stilista. Che molto somiglia allo chef de cave. Entrambi art director, direttori d’orchestra e fautori di una visione fatta di tecnica ed eleganza, materia e immaginario. Perché come un abito non è solo un abito, uno Champagne è molto di più che una semplice cuvée. Facendosi portavoce di un pensiero, una filosofia, una vitivinicola prospettiva.